Cause e definizione del disturbo bipolare: la persona up and down

Il disturbo bipolare non è uno ma ha più modi di presentarsi che, come caratteristica comune, presentano l’alternarsi di episodi maniacali e/o ipomaniacali con stati depressivi. Ma come hanno origine? Vediamo cosa dicono gli esperti e quali sono i diversi approcci teorici a questo disturbo

di MARICA FATTIROSO

 

Il disturbo bipolare viene inserito dal DSM IV-TR nella più ampia categoria dei disturbi dell’umore. Il disturbo bipolare è definito tale perché la persona presenta elementi della mania e della depressione, alternati ad un tono dell’umore “normale”. Per dirla più semplicemente, nel disturbo bipolare i normali stati di felicità e tristezza risultano essere amplificati diventando depressione ed euforia. La persona oscilla tra queste due polarità all’interno di tempi e modi che possono essere variabili. Gli stati alternati di depressione e mania non hanno sempre la stessa intensità, ma spesso sono così invadenti e intensi da interferire potentemente nelle relazioni, nella vita sociale e lavorativa della persona che ne è affetta. Nel disturbo bipolare, spesso, lo stato depressivo è il primo a manifestarsi e lo stato maniacale o ipomaniacale può essere anche molto successivo.

 

Il disturbo bipolare: definizione e categorizzazione

Perché ci sia diagnosi di disturbo bipolare, quindi, è necessario che la persona presenti al momento della diagnosi, o in anamnesi, episodi maniacali, misti o ipomaniacali, accompagnati da episodi depressivi maggiori.
Il disturbo bipolare viene diviso nel DSM IV-TR in quattro categorie, che poi si sfumano ulteriormente:
– disturbo bipolare di tipo I: presenza di uno o più episodi maniacali o misti, spesso si accompagna ad episodi depressivi maggiori;
– disturbo bipolare di tipo II: presenza di uno o più episodi depressivi maggiori accompagnati da almeno un episodio ipomaniacale;
– disturbo ciclotimico: presenza, per almeno due anni, di numerosi periodi con sintomi maniacali che non soddisfano i criteri del disturbo maniacale e numerosi episodi depressivi che non soddisfano i criteri dell’episodio depressivo maggiore;
– disturbo bipolare non altrimenti specificato: sono tutti i disturbi che, pur presentando sintomi bipolari non soddisfano i criteri di nessun tipo di disturbo bipolare.

 

Il disturbo bipolare: cause possibili

Oggi si tende ad attribuire al disturbo bipolare una molteplicità di cause che includono fattori biologici, psicologici, neuroendocrini, ambientali, genetici, chimici e via dicendo. Lasciando da parte la differenza di tipologie del disturbo bipolare, consideriamo le possibili cause che il mondo scientifico ci suggerisce:
– squilibrio chimico: secondo alcuni esperti del settore, uno squilibrio di noradrenalina, serotonina e dopamina, che regolano  gli stati dell’umore e quindi anche la modalità con cui noi agiamo e reagiamo agli eventi, può essere una causa in grado di scatenare il disturbo bipolare;
– fattore genetico più fattore ambientale: si è dimostrato una delle cause del disturbo bipolare può essere la familiarità. Quando in famiglia esistono casi di disturbo bipolare, la probabilità che altri familiari presentano gli stessi disturbi è elevata. Ma quanto è un problema genetico e quanto una conseguenza di un contesto familiare patologico?;
– fattori sociali ed eventi della vita: a volte accade che su un terreno già fertile, problematiche che si possono vivere in un ambiente lavorativo, eventi traumatici quali la perdita di una persona cara o la fine di un rapporto, così come eventi traumatici vissuti durante l’infanzia, possono essere cause che innescano un disturbo bipolare;
– lo stress: può essere uno dei fattori scatenanti di un disturbo bipolare: fenomeni stressanti ripetuti e costanti possono causare un disturbo bipolare ad esordio depressivo;
– problemi immunitari: alcuni studi vedono le cause del disturbo bipolare in problematiche immunitarie. La carenza di fattori immunitari contribuirebbe all’esordio dei disturbi bipolari.

 

Il disturbo bipolare: un accenno all’analisi del carattere nella visione post- reichiana

L’analisi del carattere che trova la sua origine in Wilhelm Reich ed elaborata Genovino Ferri considera il disturbo bipolare all’interno dei disturbi depressivi di prima grande bocca. Il disturbo depressivo di prima grande bocca è il più grave dei disturbi depressivi e viene definito così perché trova la sua origine in ambiente intrauterino. Indica un blocco rimosso che genera un disturbo quantitativo che può esprimersi in una polarità bassa, ovvero depressiva, o alta, ovvero  maniacale, o attraverso entrambe, ovvero bipolarità. La causa del disturbo si ritrova in un parto troppo precoce, non in senso cronologico ma nel senso che quel feto, per nascere, avrebbe avuto bisogno di un tempo emozionale più lungo, avrebbe avuto bisogno di ricevere più nutrimento affettivo. La necessità di un contatto maggiore, rinforzata anche da esperienze post nascita che vanno a confermare questa storia, genera un vuoto così forte da portare la persona ad agire una grande rimozione per sopportare il dolore e la frustrazione.

 

Aggrapparsi alla mania, ovvero alle zone isterico/falliche o anche coatte, aiuta a mantenersi in uno stato eccitatorio attraverso il quale si tenta di creare distanza con il dolore profondo. Ma mantenersi in questo stato è difficile, richiede un grande investimento energetico che, quando raggiunge una certa soglia, non è più in grado di mantenersi a livelli così elevati e improvvisamente si consuma facendo cadere la persona in quello che è il suo bisogno primario: ricevere nutrimento e calore per un tempo maggiore. È qui che compare la sintomatologia depressiva. La copresenza degli aspetti maniacali e depressivi che oscillano dinamicamente genera la bipolarità del disturbo depressivo di prima grande bocca.

 

Un terapeuta deve proporsi a questo paziente come figura di riferimento ferma, solida, rinforzando tutte le parti che possono aiutare la persona, in modo da poter poi agire simulando un effetto utero, che dia sostegno e calore, attraverso modi e tempi molto personalizzati che aiutano chi soffre di questo disturbo a sciogliere il suo blocco profondo. I sintomi del disturbo bipolare sono molti, così come i criteri diagnosti che il DSM propone per diagnosticarlo. Quello che è certo è che è una patologia sorretta da un dolore profondo, capace di consumare la persona che ne è affetta, così come le persone che la circondano affettivamente.

Alleanza terapeutica, cos’è e come si costruisce

Paziente e terapeuta collaborano affinché il rapporto di cura sia proficuo e gratificante per entrambi. Questo rapporto che si crea si definisce alleanza terapeutica.

L’alleanza terapeutica viene considerata tra gli elementi che maggiormente conducono al un buon esito della terapia con un paziente (Horvath & Symonds, 1991; Martin, Garske & Davis, 2000) e quindi un aspetto estremamente importante nella relazione terapeutica.

 

Alleanza terapeutica cos’è?

Costrutto identificato per la prima volta nelle teorie psicoanalitiche a partire da Freud, oggi l’alleanza terapeutica è diventata elemento trasversale e importante per le differenti correnti psicoterapiche e per il professionista.

 

A livello generale essa può essere identificata come la fiducia che si crea tra il paziente e il terapeuta all’interno della quale si muove e si struttura la relazione e il lavoro psicoterapico. La fiducia reciproca ha come obiettivo uno scopo comune, solitamente identificato come il benessere e cura del paziente stesso.

 

Tra le definizioni più diffuse vi è quella di Bordin (1979) che supera la matrice, prevalentemente psicoanalitica, da cui il concetto di alleanza prende vita. Secondo l’autore l’alleanza si fonda su tre componenti:

  1. La condivisione esplicita di obiettivi tra paziente e terapeuta
  2. La definizione di ruoli e compiti nel processo terapeutico
  3. Il legame affettivo basato su fiducia e rispetto tra i due (o più) attori del processo

 

Il paziente e il terapeuta quindi devono collaborare al fine di raggiungere lo scopo, ognuno ha un ruolo e dei compiti importanti da assolvere.

 

Il terapeuta non è colui che traina nel processo di cura, ma è accompagnatore che percorre con l’assistito le differenti tappe del suo percorso terapeutico. La relazione quindi è fatta di scambi, di fiducia e di condivisione che permettono al paziente di sentirsi a proprio agio, compreso e accolto e al terapeuta di agire con competenza, conoscenza ma soprattutto empatia verso il paziente.

 

Alleanza terapeutica: come costruirla

La costruzione dell’alleanza terapeutica è un processo importante e soprattutto che necessita di cura e attenzione. Alla base deve esserci un rapporto di fiducia in cui il paziente si possa sentire libero di esprimere i vissuti più profondi e trovare nel terapeuta un professionista capace di dare strategie e strumenti per raggiungere il benessere.

 

Tra i fattori che possono influenzare la costruzione dell’alleanza vi possono essere:

  • la condivisione esplicita di obiettivi e compiti tra paziente e terapeuta al fine di avere ben chiaro lo scopo, i passi da seguire e la comprensione delle strategie utilizzate. Il paziente deve essere aiutato e supportato nel capire come funziona e qual è lo scopo e i mezzi della terapia. Solo così potrà sentirsi maggiormente coinvolto e assumere un ruolo attivo, fondamentale nella buona riuscita terapeutica.
  • Altro elemento fondamentale è la capacità e competenza del terapeutanell’accogliere il bisogno del paziente, nell’ accompagnarlo a trovare strategie e “risposte”, esplorando con lui tematiche delicate. Tutto in un clima che deve essere il più possibile accogliente, attento e di ascolto.
  • Il terapeuta deve mostrarsi empaticoe capace di entrare in sintonia con il vissuto del paziente, senza ovviamente, farsi trasportare e travolgere, ma aiutarlo a comprenderlo e a trovare un modo per superare la sofferenza o il disagio. L’empatia è senza dubbio una delle abilità più importanti per costruire una buona alleanza. Il terapeuta inoltre deve mostrarsi cauto e muoversi con parsimonia e cura in quanto viene portato dal paziente.

 

Alleanza terapeutica: il ruolo del paziente

Nella definizione di una buona alleanza sicuramente gioca un ruolo fondamentale il paziente con il suo vissuto, pensiero e aspettative. Quest’ ultime influenzano il modo di approcciarsi sia al terapeuta che all’intero percorso, determinando criticità o al contrario punti di forza e propositività.

 

Accanto a queste il pensiero e l’idea che il paziente ha rispetto all’aiuto psicoterapico è sicuramente un altro fattore che gioca un ruolo importante e definisce la maggiore o minore apertura al lavoro e alla collaborazione con il clinico.

 

Un altro elemento importate è, secondo alcuni autori (ad esempio Weiss, 1982, ma prima ancora Bowlby, 1979, ecc) il modello di attaccamento del paziente. Secondo la teoria dell’attaccamento infatti l’individuo si costruisce dei Modelli Operativi Interni, derivanti dalle relazioni e esperienze vissute con le principali figure di attaccamento, che orientano e guidano ogni altro tipo di relazione.

 

Rispetto all’alleanza terapeutica si è osservato come un modello sicuro di attaccamento favorisca lo sviluppo di un legame di fiducia con il terapeuta. Inoltre, già secondo Bowlby, padre della teoria di attaccamento, la relazione terapeutica può svolgere un ruolo importante nel ridefinire e modificare i modelli operativi interni del paziente, portandoli a costruire una relazione sicura.

 

L’alleanza terapeutica quindi è un elemento fondamentale nella relazione tra paziente e clinico e fondamentale nella buona riuscita della terapia. È qualcosa che nel tempo va rinforzato e può andare incontro a rotture e riparazioni, spesso molto importanti nel percorso clinico.